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Testo critico di Luca Maggio Vetri in pezzi, interi, fusi, riplasmati. Vetri puri riciclati. Vetri a immagine dell’autore, come un gioco, chissà, serissimo di specchi non usati, perché la materia è delicata e cuoce e cambia e tanti sono i gradi (900, 1200) per trasformare la sabbia in purezza, la pazienza in arte, e con le pinze e il sudore dare forma a ciò che la mente ferma, ciò che resta ciò che evade, come la sequenza di queste parole: eccessiva e così fragile. Seattle e Nittolo, anni ’90: una città, un uomo, il vetro. Si lavora il vetro a Seattle (Pilchuck glass school), ma la ricetta è antica, veneziana. Come far convivere, anzi sposare il mosaico al vetro? Sebbene le tessere siano informate della stessa materia, le due cose paiono tecnicamente incompatibili. Accettare la sfida? Riformularla. Ecco apparire sulle lastre le fila aritmiche di vetri-tessera tipiche della memoria visiva di Nittolo. Ecco un pesce di mosaico imprigionato, a nuotare in una vasca di vetro. Ed ecco le sfere di vetro e le avellane, le noccioline della terra d’origine, altre sfere nella sfera, a ricordare come tutto forse, tenda ad un uno e quell’unità corre come circolare è un ventre. Ecco i volti dell’artista e i colori rossi (del magma) e blu (della lontananza), o le colombe di Ravenna, perché parti di mosaico e il mosaicista stesso sono parte del vetro da cui le tessere provengono, e così dal forno tornano a vivere nella trasparenza e nella successione di corpi fatti ormai autonomi e vivi, senza timore che si rompano, si romperanno un giorno, i frammenti rimescolati a ridare nuovi volumi, altre possibilità alla dinamica pressoché infinita delle tessere, del poeta.
Ravenna, 27 Gennaio 2007 LucaMaggio
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