Franco Palazzo
DI ASSOLUTI
LUOGHI. Testo critico Odette Gelosi Direzione artistica Felice Nittolo
Inaugurazione Art gallery "niArt" Dal 2 al 23 aprile 2016
Sabato 2 aprile 2016, alle ore 18,00 alla niArt gallery di Ravenna, inaugurazione della mostra "Di assoluti Luoghi" di Franco Palazzo che presenta un ciclo di singolari acquarelli ispirati a luoghi che, visti dall'artista nella loro alterità, risultano scenari di transito per l'anima. Insondabili e misteriosi luoghi-non-luoghi, ai quali l'accesso materiale sembra essere assolutamente negato, comunque reso altamente improbabile. L'artista sente questi luoghi come "congelati nella loro solitudine, immuni da contaminazioni da sviluppo urbano o industriale, dove l’umano e il divino sembrano arcanamente esserci, anche se assenti. Paesaggi liberati dal vincolo del proprio aspetto fisico e traghettati in una dimensione poetica pura. Qui lo spiritus loci aleggia sopra un'archeologia che vive una rara integrazione: geologica, antropica e naturale. Luoghi che hanno attraversato il Tempo e sono stati visitati dal volo degli Angeli, giungono a noi variamente erosi, modificati, coperti di vegetazione e si offrono al nostro sguardo evocando sensazioni di onirica estraniazione". Catalogo con testo critico di Odette Gelosi in galleria.
FRANCO PALAZZO, nato a Crispiano nel 1938, vive e lavora a Ravenna dove ha frequentato i corsi di Tecniche dell’Incisione presso l’Accademia di Belle Arti sotto la guida di Matteo Accarrino. E’ del 1973 la prima di numerose mostre - tra individuali e collettive - in Europa e in U.S.A. Tra le principali: Nel 1992, Contemporary Spanish Art, Miami, Florida (U.S.A.); 1998, mostra ed installazione "Metafore", presentata da Gian Ruggero Manzoni e pubblicato su I Quaderni del Circolo degli Artisti di Faenza. Nel 1998 è invitato alla rassegna "10 Jahre Kunst aus Ravenna" a Salzburg (A). Nel 1999 espone le sue tele fluorescenti (Ciclo delle Torri-Navi) nella mostra "Metafore" al Palazzo della Provincia di Ravenna e, nel 2001, al Palazzetto dell’Arte di Foggia. Negli anni '90 è in Francia (ART JONCTION, Nice) e in Spagna (INTERARTE, València e BIAF, Barcelona) entrando in contatto col mondo artistico internazionale. Data dal 1994 al 2003 la collaborazione con l'artista spagnola Charo Marìn, con esposizioni alla Galerìa ANAGMA di València e all'Ayuntamiento di Nàquera (E). Nel 2000 espone alla Collégiale Saint-André a Chartres (F). Nel 2003 è invitato alla VI Biennale Internazionale di Sharjah (U.A.E.) e alla Kunstmesse di Salzburg (A), in seguito, personale "Odisseuno" alla Galleria Comunale Ex Pescheria di Cesena (FC). Nel 2005, personale, a cura di Agneta Kreischer, "Alchimie" all'Arcotel Nike Galerie, Linz (A) e alla Rathausfestsalle di Gmunden (A). Nel 2001 partecipa, su invito di Martina Corgnati e Julien Blaine, a "Progetto Ambiente", mostra di gruppo alla Galleria del Credito Valtellinese, Sondrio. Nel 2003 è invitato alla VI Biennale Internazionale di Sharjah (U.A.E.). 200, espone alla niArt Gallery di Ravenna con l'edizione del volume monografico bilingue: PALAZZO, Le Dimore del Mito, presentazione di Odette Gelosi. La mostra viene replicata a Palazzuolo sul Senio (FI) a cura di Marco Violi. Nel 2007, su invito della Città di Chartres (F), allestisce, insieme allo scultore Piero Strada, la mostra "Les Demeures du Mythe". 2009, mostra "Le Dimore di Athena" ed edizione di una cartella di cinque incisioni, a cura di Marisa Zattini, Galleria IL VICOLO, Cesena. 2010, "Meta-morfosi", Palazzo Rasponi, Ravenna. 2012, "Acheloos", alla Rocca di Riolo Terme, in catalogo, a cura di Marco Violi, poesie dialettali del poeta Nevio Spadoni. 2014, "Reperti", a cura di Aldo Savini, alla Biblioteca Civica di Cervia (Ra). 2016, "Di assoluti Luoghi", con testo critico di Odette Gelosi alla niArt Gallery di Ravenna. Opera completa: www.francopalazzo.it Contatti: franco@francopalazzo
Di assoluti Luoghi VIAGGIO TRA SPIRITO E MATERIA ACQUARELLI
Gialla di carte azzurre e
verdi, lisa Il titolo parla di luoghi, "assoluti" nel senso che hanno radici nella nostra anima più segreta. Luoghi in cui aggirarsi e smarrirsi, ma solo con la fantasia. Ho provato ad indagare questi luoghi impraticabili, situati in una dimensione ultraterrena, impossibili da raggiungere fisicamente. I ricercatori di avventure dello spirito sono i benvenuti in questi siti paralleli, vere e proprie eterotopie, pensando a quelle contemplate dal filosofo Michel Foucault. Essi, nella loro alterità, sono scenari di transito per l'anima, insondabili e misteriosi luoghi-non-luoghi a cui l'accesso materiale è assolutamente negato, comunque reso altamente improbabile. Non è possibile esplorarli se non seguendo ipotetiche e complicate procedure d'accesso e se non dotati di quella “protesi” che solo il pensiero umano sa produrre: l'immaginazione. Condizione che permette di indagare attraverso l’arte gli enigmi in cui ci si può imbattere nel faticoso cammino della conoscenza, dove il concetto di "impossibile" non esiste. Inaccessibili appaiono queste solitarie Tebaidi, emblematiche di questo ciclo pittorico. Deserte, immerse in aurore esangui o emergenti dalle tenebre, dipinte a partire dagli ultimi anni '80. Scenari carichi di memorie, luoghi da me amati per appartenenza nativa, si collocano nell'ambito del sacro. Congelati nella loro solitudine, sono immuni da contaminazioni dovute a sviluppo urbano o industriale, luoghi dove l’umano e il divino sembrano arcanamente esserci, anche se assenti. Qui lo spiritus loci aleggia sopra un'archeologia che vive una singolare integrazione geologica, antropica e naturale. Forme variamente erose, modificate, coperte di vegetazione, si offrono al nostro sguardo evocando sensazioni di onirica estraniazione. In viaggio, mentre nell'anima fluivano le soavi e struggenti note dell'“Erbarme dich, mein Gott” della Passione secondo Matteo di J. S. Bach, mi si spalancò all'improvviso davanti agli occhi la straordinaria visione degli insediamenti e delle Basiliche Rupestri di Puglia e Basilicata, giacimenti di memoria che sanno di Medio Oriente e di Cappadocia. Emanavano il fascino del sacro, esibendo la nascosta bellezza degli affreschi rupestri, custoditi in singolari architetture ipogee, vere sculture in negativo scavate nelle calcareniti delle gravine, che Cesare Brandi nel suo "Pellegrino di Puglia" (1960) percepiva come "Letti di fiumi abbandonati, tombe violate di un'acqua scomparsa". Questi luoghi, decisamente proiettati nella dimensione dello spirito, rimastimi per sempre negli occhi, divennero per me motivo d’ispirazione, sconvolgente carica emozionale, ossessiva imposizione tematica, fino ad arrivare al saccheggio visivo, per potersi poi reincarnare in indelebili icone dell'anima. Rupi aspre e terragne abitano questi spazi dell'Altrove, tra arbusti di olivastro e cespugli di lentisco, in forma di vaghe dimore, alcune marcate da simboli paleocristiani e segni di un alfabeto arcano e senza tempo, tracce della frequentazione umana di questi luoghi, dichiarati dall'U.N.E.S.C.O Patrimonio Culturale dell'Umanità. A volte, invece, appaiono siti meno solitari, abitati da architetture povere e spontanee, inserite in spazi metafisici, immerse in atmosfere mediterranee, dove nulla sembra rapidamente muoversi. Così in un'annotazione autobiografica: “[…] gradinata di candide case dal cuore fresco e pulito, ferme nel tempo sotto un cielo di seta, azzurro e profondo, invaso da nubi abbaglianti, gonfiate dallo Scirocco. Veleggianti, sospinte dalla Tramontana". Mentre, per contrasto, giù a terra, s'individuano le variegate trame della materia (quella più solida e cromaticamente densa) segnata dalle profonde incisioni delle gravine piene di cavità ipogee che misteriosamente le perforano. Materia terrena dunque, sebbene vivificata dal soffio dello spirito. Madre Terra, memore di antichi Miti, testimone di indicibili fatiche e vicende bagnate di pianto, d'insperate rinascite ma anche di laceranti ferite inferte a quelle umili vite appartate, le cui tracce sono ancora tangibili nell'habitat rupestre, un mondo quasi sconosciuto, eppure a noi così umanamente vicino. Attraverso l'indagine sul profilo culturale del paesaggio, confortata dalla passione e dal rispetto per la più alta tradizione italiana (di cui mi nutro) intende produrre, non sempre riuscendo, una continuità col contemporaneo, ricercando risultati espressivi e formali, dove la sostanza di cui sono costituite le opere e la materia pittorica siano pervase dal medesimo spirito. Dall'Eterno che ci sovrasta alla realtà oggettiva dell'essere, tutto ho cercato di infondere in questi lavori, non come è dato di vedere con gli occhi o percepire con gli altri sensi, ma come potrebbe essere, anzi come è nella verità dell'arte. Ne nascono olii e tecniche miste, prima. Ora, acquarelli di grandi dimensioni, su carta riso cinese intelata e montata su telai. Queste opere propongono il racconto di una pennellata leggera, nella sua capacità di farsi portatrice di forte empatia, distillatrice di sentimenti autentici e struggenti metafore del visibile. Come, parallelamente, alla ricerca degli umori di un'inedita laguna, abitata da scarni relitti veneziani, puramente cromatici, soffusi, musicali. Iceberg in rarefatte composizioni che, con un pizzico di sensualità, potrebbero divenire poetiche eterotopie. Nel deserto del nostro tempo, in una società bulimica e distratta, afflitta da una avvilente omologazione, distruttrice di valori, secondo una voluta e programmata "ipnosi televisiva" e da un assordante "frastuono mediatico", sarebbe bello poter sostare qualche volta a meditare. Sarebbe salvifico per l'anima porsi in ascolto di un "silenzio" da percepire in alcune di queste tele che vorrebbero proporci una diversa e stimolante dimensione dell'essere. Franco Palazzo
Le icone del sentire di Franco Palazzo Pugliese di nascita, Franco Palazzo ha trascorso la maggior parte della sua vita a Ravenna, di cui ha assimilato l’illustre passato così affine al suo sentire. Ed è proprio in questa mitica città che ha esternato e sviluppato le sue doti, rivelando una sensibilità e un’intuizione aperte alla storia e alla cultura. Egli è comunque figlio di quella sua terra di Puglia, di cui nella sua infanzia, ha respirato l’essenza, inebriandosi di natura e di eventi storici, intuendo speranze e paure che hanno percorso i secoli. Poi si è trasferito a Ravenna, una città saldamente legata ad un passato illustre, per un certo tempo centro di un impero potente, i cui resti, giganteschi nella loro magnificenza e vividi nella loro preziosità, non potevano non imprimersi profondamente nell’io vibratile di Franco Palazzo, muovendone gli impulsi verso una lievitazione della conoscenza e dell’esercizio del bello. A Ravenna, Franco Palazzo scopre il fascino sotteso a tonalità cromatiche meno squillanti di quelle del suo meridione, a poetici cromatismi soffusi che stimolano riflessione e sogno. E proprio quelle sue facoltà vengono lievitate dalla magnificenza dei monumenti della Ravenna antica, dallo splendore dei mosaici, unici per tipologia in Occidente, che suscitano nell’artista il desiderio di approfondire lo studio di quei fulgidi periodi di storia ritmati dai nomi di Teodorico, Galla Placidia, Valentiniano… Con fertile immaginazione, Palazzo s’immerge in quel passato tumultuoso, costeggiandone i resti che ampliano all’infinito il suo orizzonte di vita e rafforzano la sua passione per ogni reperto archeologico, storico o artistico. In Romagna, egli completa la sua caleidoscopica formazione, aperta ad ogni aspetto della cultura; molte delle sue creazioni si collegano ad una sensazione suscitata da un elemento di carattere storico, artistico, letterario. Le sue navi ebbre di un mare e di un cielo blu cobalto scaturiscono dal noto "Bateau ivre" del grande poeta francese Rimbaud secondo il quale occorreva, per essere un vero poeta, diventare veggenti, superando i limiti ristretti del nostro sentire. Sembra che Franco Palazzo abbia in qualche modo aderito al pensiero di Rimbaud, rivivendo nelle sue opere precedenti momenti di vita e di storia macerati dalla sua sensibilità profonda. Le numerose sue "Turris" sorgono dall’inconscio, rapresentate dai resti delle torri pugliesi da lui erette sulla tela o la carta con fare visionario. Gran parte delle creazioni di questo artista sono appunto una proiezione del suo sentire. Anche l’esposizione di questi acquerelli s’inscrive in quella parabola creativa. Il titolo assegnato alla mostra, "Di assoluti luoghi", è ampiamente significativo: si tratta qui, come afferma Palazzo, di luoghi-non-luoghi, cioè di luoghi suggeriti dalla realtà, ma nati e configurati lontano da essa, plasmati dall’immaginazione del pittore che li ha ricreati con l’originalità del suo sentire affinato dalle molteplici esperienze di una vita profondamente vissuta. In tale situazione creativa, l’oggetto preso in considerazione, perde il suo aspetto reale per assumere una conformazione che, per similitudini e deformazioni, riesce ad evocarne l’essenza, quell’essenza maturata nell’io profondo dell’autore che la avvolge dei colori del suo sogno. Penso che Franco Palazzo abbia proprio scelto di usare l’acquerello per queste sue rappresentazioni, ben conoscendo la delicatezza cromatica ottenuta con quelle pennellate diluite. E non il reale viene reso, ma le intime impressioni del pittore che rivela una sottile capacità di sublimare i vari tipi di paesaggi rappresentati immergendoli in soffuse e miti tonalità cromatiche che si fondono in una intensa unità. In Yellow Venice, ad esempio, sono i colori ad essere particolarmente eloquenti. Solo una bassa cupola appare sulla sinistra, mentre porzioni di piani mostrano cromatismi caldi che dal giallo, passando dall’arancione, virano al rosso cupo un po’ nostalgico. Persino la laguna e il cielo rosato partecipano di questi colori solari, che suggeriscono il caldo, la luce, ma anche la Cà d’Oro, la ricchezza e la grandezza del passato veneziano. La veste biancastra in primo piano colloca la città in un lontano e splendido passato di cui l’uomo può essere ormai soprattutto spettatore. L’insieme desta una dolce e vibrante malinconia. Tutte queste rappresentazioni inoltre sembrano scrigni chiusi in sé non percorribili. Non un sentiero, una strada che li identifichi; appaiono inaccessibili come ignote isole remote. Sono porzioni di tempo e di spazio, icone del sentire dell’artista che, dense della sua interiorità, assurgono a una dimensione altra. Ognuna si ammanta di una propria atmosfera, irripetibile come l’emozione unica da essa suscitata nell’io del pittore. E ognuna la sprigiona, facendola rivivere. Le Vaghe Dimore dell’Essere non sembrano case campeggiate in una solida realtà. Più che raffigurate, esse sono suggerite con tratti di luce, di penombra, di cromie sfumate unificanti o diversificanti. Esse hanno un’anima: sembrano sul punto di parlare. La maestria con cui sono state distribuite le irregolarità e le deformazioni fanno sì che l’immagine si animi, diventi quasi umana. Esse sono lo specchio che proietta l’interiorità di Franco Palazzo, la sua squisita e variegata sensibilità. Imparare a conoscere un artista come Palazzo non può avvenire con una semplice e rapida osservazione delle sue opere. Ogni sua creazione va contemplata a lungo perché chi guarda possa farsi penetrare da questo linguaggio muto, riuscendo a cogliere quell’espressione evanescente che palesa l’io dell’autore. Opere che si collocano fuori del tempo necessitano di essere avvicinate da spettatori che, prima che con la mente, le sappiano assaporare con una sensibilità volta a percepirne l’assoluta originalità. Odette Gelosi
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