“Col passare
degli anni, manualità e pensiero vanno di pari passo, il
mio sapere se pure un po' più lento, mi permette di
ottenere quel risultato di imponderabilità ed uso
indifferenziato di attrezzi come pennelli, spatole,
stecchi oppure le mie stesse dita. Comunque il risultato
non cambia per rappresentare l'imponderabile c'è bisogno
di operare senza preconcetti per fare dei lavori che
siano “
veramente “preziosi” nel colore e nei materiali usati
che sia carta, tela o vetro”.
Con questo pensiero Matteo Accarrino sintetizza come lo
scorrere del tempo non ha intaccato minimamente la sua
creatività e la voglia di dedicarsi all'arte come ha
sempre fatto nel corso della sua vita, seppur più
lentamente la sua ricerca continua e la sua vitalità
artistica rende le opere prodotte negli ultimi anni
“Preziose .
“ La materia dell'immagine” è il titolo della mostra che
si inaugura il 9 novembre 2013 alla niArt Gallery di via
Anastagi a Ravenna , con il patrocinio del comune di
Ravenna,della provincia di Ravenna e del coordinamento
Ravenna 2019 corredata da un catalogo con presentazione
di Bruno Bandini e con contributi di Silvia Benvenuti,
Carmela Claps, Nullo Mazzesi e Felice Nittolo.
La mostra rientra all’interno di un progetto che per il
2013 vede impegnato Matteo Accarrino dapprima a Bologna
alla galleria Tedofra , poi a Ravenna alla niArt e
infine a Foggia al” Palazzetto dell’arte”.
I luoghi scelti dall’artista non sono casuali in quanto,
si parte dall’Emilia Romagna , terra che lo ospita da
lungo tempo e dove dal 2007 al 2012 a Sant’Alberto (RA)
ha trasformato un antico fienile di una casa colonica in
una inedita e suggestiva “CASA MUSEO” dove ha dato la
possibilità a chiunque di visitare una ricca collezione
privata di artisti italiani e stranieri,sottraendo
l’opera ai luoghi deputati all’arte, aprendo la propria
abitazione che funge da spazio espositivo, dove le opere
e la casa diventano un tutt’uno.
Foggia, come ultima tappa, non è una scelta casuale , in
quanto luogo in cui l’artista ha vissuto per lungo tempo
, e dove nel 1979 ha dato vita al “Laboratorio
Artivisive” attivo fino al 2002 come luogo di
sperimentazione artistica e di documentazione sugli
esiti più avanzati sulla ricerca, che ha significato per
l’artista il passaggio da un modo di vivere l’arte in
assoluto isolamento , fra le pareti dello studio, ad un
altro di totale apertura verso il pubblico teso a
divulgare il messaggio artistico e fondato sul reciproco
scambio.
Il 23 novembre alle ore 18,00 è previsto un incontro
“Una sera a casa dell'artista” , dove Accarrino esporrà
,nella sua nuova casa in via Mercatelli 16 a Ravenna,
per una sera opere che permetteranno di conoscere meglio
la sua ricerca.
Per informazioni tel. 329-6474832
LA MATERIA
DELL’IMMAGINE
«Io tolsi ai mortali la preveggenza della propria morte.
- E quale rimedio trovasti a questa malattia?
- Insinuai in loro cieche speranze»
Eschilo, Prometeo incatenato
Prometeo, “colui che conosce con anticipo”, che per
primo manipola la tecnica per dar vita a nuove forme,
per piegare la sorda fissità della materia. Colui che
impiega le potenzialità della tecnica per plasmare forme
che sappiano dare speranza agli uomini.
Ma il “provvido” Prometeo, figlio del titano Giapeto, ha
un fratello, Epimeteo, che invece è “imprudente” ed
apprende le cose con ritardo. E, secondo la
ricostruzione di Karol Kerényi, le figure dei due
fratelli non possono essere considerate separatamente:
l’impiego della tecnica, a dispetto delle nostre
intenzioni, può produrre risultati discordanti. Dipende
dalle nostre capacità di comprendere il fine per il
quale siamo disposti – o necessitati – a ricorrere ai
dispositivi della tecnica.
Certo, Prometeo ama gli uomini, e grazie al proprio
dono-sacrificio (intelletto ed abilità) consente loro di
abbandonare lo stato ferino per inoltrarsi in un
contesto denso di insidie: la civiltà.
Comunque sia, una volta ingannato, Zeus non si limita a
punire Prometeo in modo esemplare: alla punizione si
associa la comparsa di una figura seducente, capace di
“dispensare ogni dono”: Pandora. Mendace e seducente,
infida e bella, Pandora costituisce una sorta di
contrappasso sia della generosità di Prometeo, sia della
lentezza di Epimeteo.
Tutto questo ha qualche cosa che vedere con Matteo
Accarrino? Se si trattasse esclusivamente delle
reiterate incursioni nel territorio del “Mito” che
l’artista viene praticando in riferimento alla sua
riconosciuta abilità all’interno della pratica incisoria
temo rimarremmo vincolati alla superficie del problema.
Certo, il mito è ricco, ma rischia sempre di essere una
copertura capace di giustificare ogni cosa, ogni forma,
ogni colore, ogni immagine.
Accarrino pretende qualche cosa di più, anzi è molto di
più. Riconoscerlo come l’alchimista che opera nei
territori impervi dell’incisione sarebbe una riduzione
colpevole. Perché le sue attenzioni sulla materia
dell’immagine sono estremamente complesse.
In realtà, come Prometeo, Accarrino è un artista che
giudica prevedendo gli eventi, anche se è consapevole
che la “tecnica” è troppo debole per avere il dominio
sulla necessità. E la sua debolezza non si misura sui
risultati che consegue, bensì sui modi attraverso i
quali li ottiene. Techne è un’arte ingannevole, frutto
di una manipolazione. Istituisce tra l’uomo e la realtà
una relazione indiretta, differita. Ma Accarrino è
consapevole di questo. Artista “curvilineo”, che fa
trionfare il mediato sull’immediato, sembra disporre di
una mente obliqua, di un gesto obliquo, mai frontale: sa
disporre la propria intelligenza – e la propria tecnica
– alla ricerca di soluzioni molteplici. Sa ideare
stratagemmi.
Dunque non solo incisione e, soprattutto, non solo
adesione ad una definizione dell’immagine ormai vecchia
e stucchevole che immagina ancora classificazioni tra
“astratto” e “figurativo”, tra spirito analitico ed
esigenze legate alla rappresentazione.
Basta osservare le sue carte, le sue tele, i suoi
“vetri”, per scoprire come il primato della sua
riflessione inclini al segno, al gesto, alla complessità
delle dinamiche del colore.
Manifesta il fermento del segno che attraversa la
superficie, che indaga lo spazio, tracciando diverse
avventure immaginative. Un fermento ricco e molteplice,
che si muove dalle ragioni delle forma alle emozioni
generate da una sperimentazione che ricerca comunque
originali strutture del visibile.
“Se il vetro serve a spegnere l’urgenza del gesto –
scrive Luciana Zingarelli presentando il nostro artista
nel 1984 – e permette – aggiungendo o togliendo colore –
polarità a contrati di luce che ogni altro ‘fondo’
annullerebbe, il ricorso a tecniche desuete è indicativo
di una doppia volontà, polemica e costruttiva,
dell’artista”. E penso che la tensione polemica e
costruttiva sia sempre e comunque rimasta presente nei
lavori di Accarrino. In modo sobrio, pacato ma
determinato: l’arte è lavoro, impegno, visione che deve
accompagnarsi ad una perizia che si esercita sui
materiali e sulle procedure che danno vita alle
immagini.
“Mentre lavoro con la carta – sottolinea l’artista nel
1988 –, sono spinto dal desiderio di cimentarmi con la
tela o con il vetro, oppure sono affascinato da
architetture fantastiche che invadono lo spazio e
coniugano indifferentemente legno e carta, tela e legno,
vetro e tela”. E questa apprensione, questa
inquietudine, questo “desiderio”, non è sintomo di
incoerenza, di una superficiale disponibilità a
mostrarsi “abile” nella manipolazione dei materiali.
Piuttosto è la manifestazione, la prova della dedizione
ad interrogare le ragioni profonde delle immagini: forme
imprigionate che chiedono di prendere corpo nel mondo
dei sensi.
Speranze che, diversamente da quelle di Eschilo,
speriamo non siano cieche.
Bruno Bandini